Come già anticipato nel precedente articolo, la relazione genitore-figlio nei primi anni di vita costituisce un esperienza forgiante per gli schemi comportamentali che delineeranno la personalità del bambino, il suo modo di stare al mondo e di costruire a sua volta le relazioni.
L’autostima, le abilità cognitive e sociali, le convinzioni su di sé, l’intelligenza emotiva sono dunque strettamente correlate alle esperienze precoci di relazione dei figli con i propri genitori. Gli studi sull’attaccamento sono oggi concordi sul fatto che il modo di relazionarsi ai propri figli dipende dalla storia di ciascuno di noi e dalle nostre esperienze precoci ma anche e soprattutto dalle modalità con cui i genitori sono in grado di riflettere sulla propria storia e sulla disponibilità ed apertura alla possibilità di rielaborarle i propri vissuti e modelli educativo relazionale interiorizzati.
Questo significa che anche le persone che nella loro storia hanno avuto esperienze “non sufficientemente buone” o traumatiche nella propria infanzia possono comunque creare delle buone relazioni con i propri figli e questa capacità è fortemente correlata al modo in cui tali esperienze sono state elaborate e comprese.
A chi non è mai capitato di agire o comportarsi come la propria madre/padre in modo istintivo?
Le esperienze non elaborate infatti danno spesso origine nelle relazioni con i bambini a forti risposte emotive e comportamenti impulsivi nonché a distorsioni nell’interpretare i bisogni dei nostri figli.
È altrettanto vero che non è sempre facile decodificare i bisogni e ciò che vogliono comunicarci i nostri bambini, e che a volte può accadere di rispondere in modo incongruo alle loro necessità ma ciò che davvero è importante che i bambini possano esperire è un genitore disponibile ed accessibile. Ciò significa che anche se la mamma non sta comprendendo ciò che le sta comunicando il proprio bambino è lì con un atteggiamento di apertura, accoglienza e disponibilità. Speso infatti bisogna ricordare che tanto più piccoli sono i bimbi tanto meno sono in grado di decodificare il proprio stato interno, avvertono il disagio e l’emozione che li pervade ma non sanno significarla. Sarà l’adulto con la propria presenza a decodificare al bambino ciò che vive parlandogli, aiutandolo a superare la difficoltà, condividendo con lui un emozione ma soprattutto permettendogli di viverla trasmettendogli che le emozioni, anche le più negative, possono essere vissute senza pericoli.
Tutto ciò non significa che mamma e papà non si arrabbino mai, che non mettano limiti o divieti anzi: un genitore presente è un genitore contenitivo; è un genitore che significa e riconosce l’emozione del figlio legittimandola ma allo stesso tempo si pone come guida proprio in virtù della verticalità della relazione.
(Es. “Io immagino che tu desideri molto vedere la televisione e che ti faccia arrabbiare che io ti abbia detto di no, ma per oggi di televisione ne hai vista abbastanza ”).
Continueremo a parlare di emozioni nel prossimo articolo.
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A cura della dott.ssa Elisa Ciani