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Il modo corretto per fare in modo che anche la rabbia trovi la sua giusta espressione.

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Le emozioni possono esprimersi (o non esprimersi) con una gamma di modalità: ad un estremo vi è l’espressione diretta (per es. il bambino che afferra un gioco con forza e decisione e se lo porta alla bocca), all’altro c’è la rimozione, vale a dire il blocco totale e la scomparsa di quel comportamento o atteggiamento indipendentemente dalla situazione relazionale (ad es. il bambino che non prende mai, ma aspetta rassegnato ed implorante che l’adulto gli dia ciò che desidera). Nel mezzo ci possono stare le varie possibilità di espressione indiretta dell’emozione (ad es. sono arrabbiato con te per un motivo preciso ma mi lamento che sto male invece di esprimere la mia rabbia apertamente, perché ho paura di perdere il tuo affetto).

La repressione (intesa come non accettazione) dell’aggressività, e la conseguente frustrazione dei bisogni, sono tra le principali cause dell’insorgere della rabbia. Questa emozione è espressa fin molto presto dal neonato urlando e dimenandosi, quando ad esempio non riceve il latte entro il suo tempo di tolleranza dell’attesa (che varia ed aumenta con i giorni e i mesi) o quando, più grande, gli viene tolto un gioco o impedito di fare qualcosa a cui tiene molto.
I bambini si arrabbiano con molta facilità, ma in una condizione serena riescono ad uscirne altrettanto facilmente. In un funzionamento equilibrato questo stato generale dura poco e si attiva solo quando veramente necessario.

Una rabbia espressa continuamente, cronicizzata nel tempo, indica uno stato di equilibrio precario che può portare all’insorgenza di malesseri: basta un nonnulla per scatenare, in un cortocircuito, l’intero organismo. Ma anche l’incapacità ad esprime la rabbia può essere dannosa. I bambini possono imparare ad avere paura della propria rabbia anche nei casi in cui è sacrosanta. Ciò può avvenire perché temono che questa espressione induca i genitori a togliere loro l’affetto. Quindi la ingoiano, la trattengono, la chiudono. La rabbia chiusa, non espressa, diventa rancore,  che può persistere a lungo soffocato e riemergere sotto forma di esplosioni anche violente.

La rabbia, chiusa ed inespressa:
• può rimanere a bollire dentro di noi o “contro di noi”: la ritroviamo ad esempio nella depressione, in comportamenti autolesivi, in alcuni disturbi psicosomatici (quali ad es. gastrite, ulcera, alcuni dolori muscolari…);
• può diventare violenza rivolta all’esterno: la ritroviamo in tante manifestazioni e comportamenti purtroppo sempre di attualità.

Va inoltre ricordato che la rabbia, quando impedita nell’espressione, trattenuta ed accumulata, finisce con l’esprimersi in contesti diversi da quelli in cui è insorta, o verso la persona che non è all’origine della frustrazione (la situazione del padre che viene maltrattato sul lavoro e a casa si sfoga sui figli; o del bambino bravo e buono a casa che a scuola fa scenate apparentemente inspiegabili): in questi casi diventa rabbia ‘negativa’, nel senso che non è più finalizzata a costruire qualcosa, ma è rivolta ‘contro’, costituendo a volte il primo gradino della distruttività e della violenza.
Per fare in modo che la rabbia trovi la sua giusta espressione senza diventare rancore, essere associata alla cattiveria o alla violenza, è importante dare ascolto ed accogliere la rabbia dei bambini e ritrovare (in noi adulti, come riferimento per i nostri figli) la calma e la giocosità della Forza.

a cura di Erica Cossettini

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