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L’obesità è un problema di adattamento?

obesita2C’è un generale accordo sul fatto che l’aumento del tasso di obesità sia dovuto, almeno in parte, al cambiamento dell’ambiente in cui viviamo. Abbiamo meno bisogno di attività fisica a fronte di una maggiore disponibilità alimentare, caratterizzata dalla presenza di cibi sempre più allettanti e ipercalorici. Gli studiosi, a questo proposito, parlano esplicitamente di “ambiente tossico”, in rapporto al quale il bambino costruisce il suo stile di vita. Allo stato attuale delle conoscenze non vi sono studi prospettici che dimostrino se e quali caratteristiche psicologiche siano alla base dello sviluppo dell’obesità (affronteremo questo argomento prossimamente), mentre vi sono studi che dimostrano l’importanza del fattore genetico e di quello sociale.

Un rapporto dell’Associazione Internazionale per lo Studio dell’Obesità del 2004 sottolinea una serie di fattori sociali che hanno contribuito ad accentuare il rischio di obesità: incremento dell’uso dell’automobile (per esempio per andare a scuola) e aumento del rischio della circolazione per ciclisti e pedoni; diminuzione delle opportunità ricreative per fare attività fisica e aumento di quelle di tipo sedentario; disponibilità di trasmissioni televisive a tutte le ore della giornata; maggiore disponibilità e varietà di alimenti ipercalorici e incremento della loro pubblicizzazione; facilità di acquisto del cibo; maggiore utilizzo di ristoranti e fast food e aumento delle “offerte speciali” che propongono maggiori quantità a prezzo conveniente; maggior frequenza dei fuori pasto; uso crescente delle bibite zuccherate al posto dell’acqua.

Generalmente questi fattori vengono percepiti come elementi di sviluppo e di miglioramento della qualità della vita, specialmente nei paesi emergenti. L’inversione di questa tendenza richiede una elevata consapevolezza, da parte dei governi e della popolazione, delle conseguenze negative per la salute (e in ultima analisi per l’economia) di questo modello di sviluppo.

I problemi connessi all’uso sociale del cibo hanno radici antiche. Nella storia dell’umanità, esclusi ultimi 60 anni, il problema principale è sempre stato la carenza di cibo. I nostri antenati sono stati in grado di sopravvivere alle carestie grazie alla loro capacità di accumulare grasso e alla tendenza a alimentarsi in abbondanza nei periodi di prosperità per immagazzinare riserve energetiche. Come osserva Massimo Montanari, l’abbondanza di cibo tipica delle società post-moderne pone problemi nuovi e di difficile soluzione ad una cultura storicamente segnata dalla paura della fame e dal desiderio di mangiare molto. L’irresistibile attrazione dell’eccesso, che una millenaria storia di fame ha impresso nei corpi e nelle menti, fa sì che nei paesi ricchi le malattie da eccesso alimentare, un tempo privilegio di pochi, diventino fenomeni di massa sostituendo le tradizionali malattie da carenza.

Paradossalmente oggi, in presenza di una sovrabbondanza di cibo, assistiamo a una frenetica e ossessiva ricerca di un corpo magro: mangiare in modo “misurato” è diventato oggi una necessità fisiologica e psicologica. L’esigenza di controllare cibo e peso è fortemente influenzata dalla cultura della nostra società, che condanna senza appello, dal punto di vista medico e sociale (ma anche morale), non solo l’obesità ma ogni eccesso di peso. Si è diffusa l’idea che, a patto di avere un po’ di buona volontà, si possa modellare il corpo a nostro piacimento.

In realtà il nostro corpo non è così malleabile. La specie umana è evoluta nella rigorosa necessità di difendersi dalle carestie. Le difese organiche contro la perdita di peso sono estremamente efficienti, mentre c’è una maggiore tolleranza per l’eccesso ponderale, proprio perché questo problema, fino ai nostri giorni, non si è mai presentato. I meccanismi neuro-endocrini relativi alla prevenzione dalla malnutrizione (ipotalamo ventro-mediale), al circuito della ricompensa (area tegmentale ventrale e nucleo accumbens) e della gestione dello stress (amigdala), favoriscono la ricerca di cibo, i comportamenti alimentari compulsivi e la riduzione della spesa energetica. In un ambiente stressante con facile accesso a cibi molto gradevoli e ipercalorici e una limitata necessità di attività fisica, l’aumento di peso è praticamente inevitabile.

A questo quadro va aggiunto il fatto che i tentativi di risolvere il problema si sono rivelati fattori peggiorativi. Sulla base delle osservazioni cliniche e degli studi sperimentali, si è visto come le diete restrittive portino inevitabilmente a ricadute con recupero del peso perduto e originino episodi di alimentazione compulsiva. Ciò vale per gli adulti come per i bambini. Le persone che si sottopongono frequentemente a diete alterano i limiti biologici della fame e della sazietà. Le possibilità di fallimento della dieta aumentano quanto più la restrizione è accentuata e in relazione all’atteggiamento emotivo con cui viene intrapresa. Ciò significa che il bambino che viene sottoposto ad una dieta restrittiva può paradossalmente veder peggiorare i propri problemi di perdita del controllo sull’alimentazione.

Se osserviamo il problema da un punto di vista ecologico, l’obesità appare una risposta normale ad un ambiente che si va strutturando in senso obesogeno. In altre parole l’obesità finisce per rappresentare la naturale conseguenza adattativa alle attuali condizioni di vita.

Se il nostro stile di vita ci porta ad ingrassare, abbiamo due possibilità: lottare contro le risposte di adattamento che il nostro organismo naturalmente sviluppa o modificare l’ambiente e lasciare che siano le risposte di adattamento a farci dimagrire.

La prima ipotesi è impraticabile, lottare contro le risposte del nostro organismo equivale a cercare di sollevarsi tirandosi su con i lacci delle scarpe. La seconda, per quanto la sfida possa sembrare titanica, rappresenta in realtà l’unica strada percorribile.

I genitori hanno una parte importante in questo contesto. In primo luogo perché, almeno quando il bambino è molto piccolo, determinano gran parte dell’ambiente di vita del figlio. Sebbene non possano controllare ogni aspetto della vita del figlio, sono loro che decidono cosa acquistare e mettere a disposizione del bambino, la preparazione dei pasti e le porzioni. Ma sono sempre loro che fungono da modello per l’apprendimento delle abitudini che costituiranno lo stile di vita futuro del bambino.  La sua attitudine all’attività fisica o alla sedentarietà, il suo modo di comunicare, l’espressione delle emozioni e anche l’uso del cibo in modo più o meno appropriato, rifletteranno le abitudini dei genitori. Ricordiamoci, abitudine riguarda ciò che si fa, non ciò che si raccomanda di fare.

a cura del dott. Gian Luigi Luxardi

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