L’interrogativo ricorrente che spesso porta i genitori a chiedere il parere dell’esperto, riguarda il tipo di risposta da dare alle richieste, spesso pressanti, dei figli.
La consulenza rappresenta in molti casi “l’ultima spiaggia”, l’ultimo disperato tentativo di porre rimedio ad un rapporto conflittuale in cui c’è sempre qualcuno che vince e qualcuno che perde: quando a vincere è il genitore (con il “NO!”), il figlio, che gli piaccia o meno, dovrà sottomettersi ad una decisione che in qualche modo nega un suo bisogno. D’ altra parte, quando a vincere è il figlio, il bisogno negato è invece del genitore, che preferisce cedere piuttosto che dare seguito ai suoi capricci (“ok giocherò con te basta che la smetti!” sebbene papà/mamma sia stanco/a).
In entrambi i casi c’è sempre una parte insoddisfatta, un genitore o un figlio che avvertono una spiacevole sensazione di fastidio per una soluzione mal digerita.
Questo malcontento spesso è solo l’inizio di un circolo vizioso che porta ad esacerbare vissuti negativi e, conseguentemente, a deteriorare la relazione.
Eppure i genitori continuano ad abbracciare condotte autoritarie o, all’estremo opposto, disimpegnate; nel peggiore dei casi oscillano da una modalità all’altra a seconda della situazione o del livello di sviluppo dei figli, creando ulteriore confusione e risentimento in questi ultimi.
L’adozione di siffatti modelli educativi, rappresenta una scelta per certi versi “obbligata”, in assenza di alternative capaci di realizzare condizioni accettabili per tutti.
Anche il permissivismo in quest’ottica viene bocciato, poiché generatore di figli egoisti, incuranti dei genitori in adolescenza ed incapaci di condotte empatiche in età adulta. In realtà una terza via c’è sempre ed in questo caso consiste nell’ascoltare i figli, indipendentemente dalla loro età, dove per ascolto si intende l’ apertura ad una comunicazione non giudicante (“stai sbagliando”), priva di moralismi (“dovresti fare così”), dove l’autorità (“so io cos’è meglio per te”) viene deposta in favore della democrazia (“sono qui per ascoltarti… dimmi pure”).
Ascoltare i figli significa sforzarsi di comprendere il significato sotteso a certi messaggi “cifrati”, senza interpretarli, bensì verificando direttamente con loro l’accuratezza della nostra comprensione (“mi sembra che… ho capito bene?”).
L’ascolto comunica interesse e getta le basi per il dialogo; ascoltare è infatti il modo migliore per sperare di essere ascoltati! Il dialogo a sua volta favorisce il confronto e da questo la produzione di idee per risolvere il conflitto, dove entrambi, genitori e figli, ne escano vincenti.
Spetta al genitore il difficile compito di sintonizzarsi con il proprio figlio, concedendogli fiducia e responsabilità, facendolo partecipare attivamente alla ricerca della soluzione “buona per tutti” (“che ne dici se cerchiamo assieme qualche idea per risolvere il problema?”).
Così facendo il genitore non solo saprà gestire equamente piccoli e grandi conflitti quotidiani, ma saprà soprattutto offrire al figlio un importante opportunità di crescita e maturazione: lo renderà infatti sempre più autonomo nella risoluzione dei problemi personali, maggiormente capace di sviluppare condotte pro-sociali, ed infine riconoscente ai genitori per avergli concesso il giusto spazio che merita.