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Venerdì 13 settembre, Pordenone: “Kirikù e la strega Karabà” in scena per i 20 anni della Comunità Ricchieri

La “Comunità Ricchieri” di Pordenone, con la delicatezza di una favola dentro la favola, festeggerà i suoi vent’anni di storia e di vita portando in scena il prossimo 13 settembre alle 21 “Kirikù e la strega Karabà“, ovvero il tema dell’intersoggettività nella società e nelle istituzioni contemporanee. La Cooperativa sociale Itaca, in collaborazione con Teatro A La Coque e Francesca Iommi, nella sede della Comunità in via Ricchieri 2 a Pordenone presenterà lo spettacolo multimediale ad ingresso libero che altro non è se non un incontro tra mondi, mestieri, generazioni differenti, accomunati dalla mancanza di un fondamentale tassello di civiltà, che va oltre la condizione di perdita estemporanea e spinge giovani e meno giovani, insegnanti e alunni, genitori e figli, operatori e beneficiari dei servizi della salute mentale, cittadini e politici a interagire e legare ancora tra loro, per tentare di rendere rappresentabile qualcosa che di per sé sfugge: la vita stessa.

Le domande aperte. Cosa resta oggi del compito generazionale che accomuna genitori, figli, nonni, insegnanti, educatori, terapeuti, dirigenti, politici? È ancora possibile instaurare e mantenere relazioni intergenerazionali significative, senza ricadere in comportamenti stereotipati, imposizioni di valori o generalizzazioni sterili? Il passaggio vitale tra le generazioni, il “fuoco sacro” tra le società degli uomini è ancora acceso, o si è spento irrimediabilmente?

Attraverso i dialoghi tra Kirikù – che di insegnamento non sa nulla, ma non per questo risulterà inadeguato come educatore – e gli altri personaggi chiave della fiaba, sarà possibile cogliere e delineare un “ponte transizionale”, una speranza di civiltà ancora possibile, attraverso una domanda fondamentale: la comunicazione interpersonale tra le generazioni e i mestieri d’oggi è solo una questione di tecniche da apprendere, strategie da padroneggiare e applicare, valori da uniformare e cui adeguarsi, oppure è una questione di posizione soggettiva e civile da assumere nelle famiglie, nelle scuole, nei servizi alla persona, nella società? Un bisogno di rivoluzione culturale, politica, sociale che – oggi più che mai, a quarant’anni dalla promulgazione della Legge 180 – non avvenga fuori di noi, ma da dentro?

La fiaba “Kirikù e la strega Karabà” diventa così strumento per rievocare alcuni vissuti, esperienze di vita e rappresentare alcune tematiche del viaggio ventennale di una Comunità Terapeutica, sorta a Pordenone sul finire degli anni ’90 con l’intento di garantire la possibilità di un ritorno nella propria terra, restituire speranza e diritti di cittadinanza a tante persone sofferenti, reduci dalle istituzioni manicomiali, tra cui quella del Sant’Osvaldo a Udine.

Franco Basaglia, in una sua intervista rilasciata a Sergio Zavoli in “I giardini di Abele” per Tv 7, ricordava che è di primaria importanza rompere non tanto o solo muri, cancelli, barriere architettoniche che alienano e separano la “città dei matti” da quella dei “sani”, bensì smascherare le logiche ed i pensieri manicomiali che sottendono un certo tipo di sapere e di esercizio del potere (politico, scientifico, educativo, didattico…) che vuole affermare la propria (onni) potenza sull’altro, oggettivandolo, per poi basare la propria verità su questo assunto. “Le interessa di più il malato o la malattia?”, chiedeva ad un certo punto Zavoli a Basaglia, e quest’ultimo rispondeva senza indugio: “Il malato, quell’essere umano lì che soffre, la sua sofferenza di soggetto”.

Ecco, allora, la scelta di festeggiare il Ventennale della Comunità Ricchieri di Pordenone il 13 settembre in Comunità, andando in scena – sul palcoscenico – letteralmente assieme, restituendo voce e dignità al pensiero di tutti; incarnandolo, per rappresentare la fertilità di quell’humus, di quello spazio transizionale di civiltà, quel mondo-prima-del mondo, senza tentare di occuparlo.

I vent’anni di “Via Ricchieri” lo dimostrano: una comunità può essere ospitale e terapeutica se è in grado di custodire questo “fuoco sacro”, questo preliminare del legame sociale, a patto di rinunciare alla presunzione di possederlo, di assoggettarlo, di padroneggiarlo una volta per tutte. Alimentandolo e rinnovandolo continuamente, aprendosi al viaggio che è fatto di incontri con l’altro.

È nel permettere il viaggio, nel consentirci di salpare assieme ad altri che le nostre comunità creano occasioni di significato al nostro essere al mondo, al nostro vivere esperienziale, concedendoci l’opportunità di spostare via via il nostro orizzonte.

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