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LA STORIA DELLA PRINCIPESSA SPLENDENTE

When:
5 agosto 2015 @ 21:30 – 23:00
2015-08-05T21:30:00+02:00
2015-08-05T23:00:00+02:00
Where:
nel Parco di Via Dante Gemona del Friuli
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Un giorno Okina, un tagliatore di bambù, si trova di fronte a un evento inspiegabile: in un germoglio di bambù trova una minuscola creatura luminosa che ha le sembianze di una principessa. Decide di portarla a casa e questa si trasforma in una neonata, che l’uomo e la moglie decidono di crescere come una figlia. Dopo qualche tempo l’uomo torna nella foresta e trova un’altra sorpresa: da un bambù esce dell’oro e Okina lo interpreta come un segno divino, una richiesta di fare della bambina una principessa.
Dopo oltre dieci anni di silenzio, un budget sempre più cospicuo e una lavorazione complessa, Takahata Isao abbandona il taglio neorealista che lo ha reso celebre per portare a termine la sua interpretazione di una delle più antiche fiabe giapponesi, “Taketori monogatari”, risalente al X secolo. Riprendendo a quasi ottant’anni una sua intuizione, che non si tradusse in film per la Toei 55 anni prima, Takahata sceglie la via più personale nella rielaborazione della storia della principessa splendente, dimentico dei precedenti (come la versione di Ichikawa Kon del 1987). Omettendo il prologo e concentrandosi sull’epilogo, Takahata compie la scelta più audace: non è importante sapere perché Kaguya è stata esiliata sulla Terra, è importante comprenderla attraverso il rapporto di amore e odio che si instaura tra lei e il mondo degli uomini. Nel corpo luminoso e dalla crescita rapida e stupefacente di Kaguya vive l’anima di una ragazzina che sembra concentrare su di sé lo spirito delle migliori produzioni Ghibli. Spensierata e amante della natura e delle cose semplici, nonostante la sua indubbia capacità di indossare vesti nobiliari, Kaguya è un personaggio dalle mille sfaccettature, capace di aderire a un codice comportamentale pur di non deludere il padre – ambizioso ma non avido, personaggio in parte negativo ma che mai viene giudicato, in perfetto stile Ghibli – ma desiderosa di rivivere, anche solo per un attimo, quell’infanzia così effimera. In Kaguya rivivono il trauma della crescita, il trauma del trasloco (come ne La città incantata di Miyazaki), l’ingresso nella comunità degli uomini pur proveniendo da un altro mondo (Ponyo sulla scogliera): potenzialmente il manifesto definitivo del Ghibli-pensiero, benché lontanissimo in termini realizzativi.
Nella tecnica di animazione sta infatti il maggiore segno di discontinuità dell’opera rispetto alla tradizione Ghibli. I contorni paiono tratteggiati con un carboncino, i colori servendosi di acquerelli, portando a un risultato in apparenza primitivo, ma capace di trasmettere con forza maggiore di qualunque ricorso alla computer graphics la sensazione di atemporalità della storia di Kaguya. E di aderire totalmente all’incontrollabile turbinio dei suoi pensieri, come nella sequenza principe in cui Kaguya sogna di tornare a casa e la sua figura si trasforma quasi in una macchia indistinta, in puro dinamismo alla Boccioni, che rifugge ogni rappresentazione di verosimiglianza per esprimere l’impeto del sentimento. E mai si sono visti neonati ritratti con altrettanta grazia e cura amorevole per ogni loro singolo movimento o smorfia. Le musiche dell’ineffabile Hisaishi Joe intensificano la componente melò di un’opera tanto complessa sul lato interpretativo quanto è lineare su quello contenutistico e stilistico. Uno scrigno di emozioni e di riflessioni etiche che, se dovesse rappresentare il capitolo finale delle produzioni Ghibli, sarebbe epilogo degno di un’epopea immortale.
Totalmente non condivisibile la scelta del doppiaggio di rimuovere il nome della principessa, Kaguya (in giapponese “notte splendente” e quindi essenziale per la comprensione della trama), compiuta al solo scopo di evitare qualche risolino di adolescente.

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