Nel precedente articolo sono stati affrontati i fattori che intervengono nel rischio di caduta e l’importanza del saperli riconoscere ed affrontare in famiglia. Di fronte ad una storia di cadute gli attori coinvolti sono due: il diretto interessato, la famiglia.
Spesso queste ultime si trovano impreparate di fronte a questo evento, che entra nella quotidianità come un fulmine a ciel sereno. Quando i nonni rivestono un ruolo di supporto fondamentale nella gestione familiare si rischia di darli per scontati, e si tende a dimenticare l’individuo che sta alla base. Se la famiglia si trova assorbita dalla gestione quotidiana spesso non riesce a cogliere i segni di fragilità che i nonni lanciano. Non sempre si tratta di “SOS” gridati a gran voce, tutt’altro.
La fragilità è riconosciuta in maniera univoca dall’ambiente scientifico come “uno stato biologico età- dipendente caratterizzato da ridotta resistenza agli stress,secondario al declino cumulativo di più sistemi fisiologici” (Fried, 2001). La comparsa della fragilità può essere precoce, ma a volte rimane latente anche per anni prima di manifestarsi in maniera eclatante. Altre volte compare all’improvviso con una precipitazione degli eventi che non danno il tempo alla famiglia di comprendere cosa sta succedendo. Indipendentemente da come compare, la fragilità ha sulla persona e sul suo nucleo familiare un impatto emotivo molto forte, legato a sensazioni di inadeguatezza, non competenza, e, a volte negazione.
I segnali che possono indicare l’inizio di una fragilità (o la sua progressione) hanno un andamento ciclico (Walston e Coll., 2004). Essi sono accompagnati da cambiamenti nelle abitudini di vita che, in molti casi, non vengono percepiti o non vengono tra loro collegati. Si tratta di un processo che coinvolge l’intera persona, in tutte le sue componenti psico- fisiche e sociali, processo in cui la caduta rappresenta soltanto uno dei tanti fattori.
L’isolamento sociale dell’intero nucleo familiare porta ad appoggiarsi ai servizi formali delle istituzioni pubbliche, che spesso non sono in grado di fare fronte all’aumento della domanda di questo tipo. Anche il ricorso all’assistenza privata può rappresentare un’ulteriore difficoltà per la famiglia se ci sono difficoltà di natura economica. Negli ultimi anni la letteratura scientifica si è spesa molto a studiare lo stress vissuto dal Caregiver (fornitore di cure familiare) in una situazione di assistenza. E la maggioranza concorda con il fatto che l’informazione e l’avere una rete sociale (amici, rapporti di vicinato, partecipazione alla vita sociale, appartenenza ad associazioni di pazienti, condivisione in gruppi di supporto, ecc.) sia fondamentale.
Lo stress, sia acuto che cronico, rappresenta il principale sintomo che invade la vita dei familiari, che li può portare ad entrare in un circuito di fragilità. Spesso la famiglia vive dei sensi di colpa a prendersi del tempo per sé e togliendo del tempo al proprio caro in difficoltà. Questi momenti, invece, sono fondamentali. Rappresentano delle boccate d’aria salutari per evitare di esaurire tutte le proprie risorse. Inoltre confrontarsi con altre persone che “ci sono già passate” aiuta a sentirsi meno soli e a scambiarsi consigli e soluzioni a cui non si sarebbe mai pensato.
La fragilità dell’anziano è un percorso che presenta salite e discese, con momenti di estrema difficoltà, ma che può essere affrontato adeguatamente con un supporto appropriato e con la salvaguardia della propria salute.
Ricordiamo che è presente presso l’Associazione Amigdala a Udine lo Sportello di ascolto gratuito per familiari in difficoltà.
Per info: 333 6327746
A cura di
Dott.ssa Elisa Marcuz, Fisioterapista
Associazione Culturale Amigdala