In ogni bambino c’è una parte più ribelle.
Una Pippi Calzelunghe pronta a uscire o la Birba Bir della mia storia.
Una parte emotiva che preme e vuole essere riconosciuta e definisce, cosi, un proprio confine.
Essa chiede di essere abbracciata non solo espressa, protetta dagli adulti e non solo rifiutata.
Domanda di diventare dialogica e non solitaria espressione di sé.
Mi torna a mente il vulcano che vedo dipingere a molti piccoli, o i draghi , i mostri sputa fuoco che devastano tutto, anche il foglio bianco!
Ripenso alle scorribande dei più piccoli tra i giochi, pronti a “distruggere” tutto; alle loro corse forsennate quasi senza meta.
Oggi, questa ribellione che diventa gioco, utilissima palestra dell’anima e del corpo, va scomparendo, lasciando sempre più spazio al mondo virtuale e ai giochi solitari non condivisi, per lo più chiusi nelle proprie stanze fisiche e interiori.
Ogni bambino è importante faccia conoscenza con la propria parte ribelle, ci giochi, ci sorrida, alle volte, anche simulando per gioco l’esistenza di un confine a quella ribellione.
Perché i confini sono utili e servono.
Vengono dati attraverso le regole, i no fermi degli adulti e tutto ciò che “protegge” il bambino dalla sua distruttività e lo fa sentire piccolo e soprattutto accolto nella fragilità.
I confini possono essere donati anche attraverso l’abbraccio che un genitore spesso dimentica perché confinato all’uso delle magiche parole che educano ma alle volte, sterili e inefficaci.
L’abbraccio ci avvolge ma ci sostiene; ci libera ma ci fa sentire a casa.
L’abbraccio di un adulto ci indica la strada: la nostra.
Perché se pensiamo alla nostra vita, sappiamo, per esperienza, che non ci è dato abdicare a ciò che sentiamo essere la nostra vera spinta vitale, la nostra essenza ma non possiamo neanche rinunciare a ciò che ci è’ stato trasmesso come storia educativo/affettiva da chi c’è stato prima di noi.
Questa tensione tra due poli che paiono opposti, genera la corrente del movimento del cammino di crescita individuale.
I genitori molto spesso vengono chiamati a fare i conti con la ribellione dei propri figli, ad ogni età, e sollecitano, in tal senso, il seme del proprio cammino di ribellione. Quali figli sono stati prima che genitori? Che rapporto hanno avuto con i loro confini e il superarli? Che rapporto hanno avuto con la loro Birba Bir o la loro Pippi Calzelunghe, il loro capriccioso Gian Burrasca, etc?
Se i genitori si donano una risposta di chi sono stati da piccoli, questo può essere un grande inizio di consapevolezza per capire da dove sono partiti e immaginare dove potranno arrivare, trasformando con amore ogni atto educativo, come fosse un abbraccio che unisce storie di regole vecchie e spinte nuove di vita.
Birba Bir
La chiamavano Birba Bir.
Era una bimba con un grande fiocco sul capo e un ampio vestito a fiori o a pallini.
Lei non amava né il fiocco, né quel vestito.
La sua mamma la vestiva cosi, con cura e attenzione, ogni mattina per andare a scuola.
“Birba tu sei una brava bambina e devi fare la brava bambina “ le diceva.
Forse, Birba avrebbe desiderato un suo abbraccio caldo ma la mamma era concentrata sui preparativi.
Tutto doveva essere perfetto.
Cosi, Birba, appena poteva, si toglieva il fiocco e le scarpe di vernice nera e correva nel fango.
Che belle le pozzanghere!
Creavano bizzarre degli schizzi sul vestito a pallini come fossero tanti colpi di pennello.
La piccola, Con un dito, si dipingeva la faccia di marrone e sentiva l’odore della terra.
“Che buono” gridava annusando il sole.
Briciola, il gatto di casa, si divertiva con lei in quel giochino che non piaceva per nulla ai suoi genitori.
Un giorno, come tanti giorni, quelli di marmellata e nutella al mattino spalmati sul pane e sul viso, a Birba parve di vedere uno strano folletto comparire tra pieghe della tovaglia.
Strabuzzò gli occhi e li strizzò pure.
Non stava sognando.
Lui era lì e la stava fissando.
Aveva barba bianca e capello a punta viola.
Era piccolissimo.
Le sopracciglia foltissime gli coprivano gli occhi, e nascondevano due pallini celesti come il mare.
“Ciao Birba io sono il giullare del Re delle pozzanghere di fango” si presentò con voce dolce.
“Piacere!” Che gran piacere! Scusa, ma tu non sei sporco di fango???!!!!” chiese la piccola.
“No, non lo sono…..come vedi i mei abiti sono profumati e puliti anche se qualche volta, come tutti, mi sporco un po’. So quando usare gli abiti per la festa e quando indossare gli abiti per rotolarmi nel fango e divertirmi davvero. Per divertirsi è indispensabile sentirsi liberi. Liberi anche dai rimproveri di mamma e papà. Altrimenti non ci si diverte più.”
“Si hai ragione….ma forse, quello che mi diverte, è farli arrabbiare un po’ ” rispose Birba sorridendo
“Allora sei Birba davvero!!!”sorrise il folletto
“Un pochino!” ribatté la bimba abbassando la testa e nascondendo le sue guance rosse
“Cosa ti diverte della rabbia di mamma e papà?”
“Credo che cosi…mi prestano più attenzione…sai sono presi dal loro lavoro e alle volte non mi vedono proprio! Cosi, quando mi sporco….hanno occhioni e parole con suono alto….tutti per me….che bello!!!”
“Capisco. Sai che il signor Fango in persona si è rivolto a me dicendomi che devi usare il fango delle pozzanghere, per più buoni propositi! Cosi stai gettando la preziosità del suo regno al vento.”
“Caspita! E che dovrei fare, allora???”
“Il fango è terra ricca per i fiorellini e per la loro crescita, non è solo cosa sporca con cui sporcarsi”
“Non lo sapevo!!!! Uhm, Uhm….” La bambina si grattò il mento.
“Bene, la prossima volta che ci ritorni, niente vestiti belli ma quelli da lavoro e con coraggio e forza , dona con la paletta piccole quantità di fango ai fiori del giardino, e se ti piace sporcarti?? Ricordati, se farai del bene ai fiorellini, allora potrai anche tu godere del bene e del divertimento del Signor Fango. Queste sono le regole nel suo regno”
“Va bene ci sto. Mi piace l’idea… ” Rispose Birba Bir pulendosi, prontamente, la bocca sporca di nutella.
Da quel giorno, il suo vestito a pallini rimase un po’ di più appeso nell’armadio insieme al fiocco e alle scarpe di vernice.
In compenso, mamma e papà si arrabbiarono meno
Giocarono un po’ di più con Birba che sorpresero da giorni, sorridente e impegnata a parlare con i fiori del prato.
La bimba si sporcò ancora con il fango, ma aveva gli abiti da lavoro per farlo.
Cosi, scopri di divertirsi molto di più.
La libertà è un percorso di doveri e piaceri che si abbracciano insieme.
Dentro di noi e poi fuori di noi.
Io che ho scritto la fiaba lo so bene: c’è anche una Birba in me!
Dott. Formica Rosa Rita Formica
(Pedagogista certificata Apei e Faip www.formicarosarita.it)