Twittare, postare, taggare, pokare sono vocaboli che fino a poco tempo fa non esistevano nella nostra lingua, ma che oggi vengono usati quotidianamente soprattutto da giovani adolescenti. Giovani che sembrano avere un’innata predisposizione per tutto quello che è Tecnologia, che sanno esattamente cosa fare la prima volta che toccano uno smartphone, un tablet o un computer, giovani le cui vite si dividono tra la rete e la realtà.
Vengono chiamati adolescenti 2.0.
E quando un genitore si trova davanti un figlio che usa termini sconosciuti, che parla di “amici” e capisce che non si tratta degli amichetti del sabato sera, o casualmente (ma anche no) entra sul profilo Facebook del ragazzo, si rende conto che, ora più che mai, il mondo degli adulti e il mondo dei ragazzi sono due realtà completamente diverse.
L’adolescente 2.0 viene considerato un salto evolutivo della specie, poiché sviluppa una “mente liquida”, l’apprendimento tramite i nuovi dispositivi diventa immediato, semplice e incessante. Ed è proprio questo talvolta il problema.
Quando i limiti cessano di esistere – compresi i limiti alla conoscenza - tutto diventa disponibile, non vengono più rispettati i tempi della crescita, si verifica un vero e proprio bombardamento di informazioni e di dati che però l’adolescente non sa come utilizzare e tradurre (è come dare una forchetta ad un bimbo di pochi mesi, può giocarci o può farsi del male, ma di sicuro non la userà mai per mangiare).
Quindi se da un lato la rete è una risorsa, dall’altro si rivela un rischio, in particolare se ci si focalizza sull’estrema facilità con cui ora si può virtualmente accedere a tutto ciò che concerne il sesso.
Fino a pochi anni fa uno dei momenti più temuti dal genitore era il famoso “discorso” ai figli, per educarli ad una sessualità sana e responsabile. Oggi non è più così, tutto ciò che c’è da sapere sul sesso viene imparato ben prima di quanto ci si possa aspettare e quel discorsetto che prima serviva a dare solo le nozioni di base, oggi dovrebbe essere fatto se non altro per capire quanto il figlio abbia già appreso assicurandosi che le informazioni in possesso vengano utilizzate correttamente.
In questo panorama virtuale anche la sessualità rischia di perdere i propri confini, da una ricerca recente infatti risulta che il 17% dei ragazzi ha dichiarato di avere almeno una volta pubblicato in un social network una foto in atteggiamenti provocanti, percentuale che sale al 50% se come piattaforma di condivisione si includono Snapchat e simili.
Un ruolo fondamentale gioca la sensazione di protezione che si prova stando “dietro lo schermo”, per cui la possibilità di osare diventa quasi un obbligo e il restare nascosti viene compensato dal mostrarsi oltre il dovuto, paradossalmente quindi l’adolescente che si sente protetto e invincibile non esita a esibire tutto di sé al mondo del web, pretendendo a sua volta di vedere tutto.
In questa realtà dunque qual è il ruolo del genitore? Sicuramente non è più quello di spiegare come nascono i bambini, o come comportarsi durante i primi rapporti sessuali, o affrontare il tema della masturbazione. Il genitore di oggi sa che il figlio conosce già tutte queste cose, quello che spesso non sa è che quel figlio conosce molto di più, ed è su questo che è necessario intervenire. In atteggiamento non giudicante o colpevolizzante, l’adulto deve aiutare l’adolescente ad acquisire gli strumenti per padroneggiare la giungla di nozioni riguardanti il sesso, abolendo gli stereotipi provenienti dalla rete (Rocco Siffredi è l’eccezione, non la regola), responsabilizzando il ragazzo rispetto alle conoscenze già acquisite (ad esempio offrendo i soldi per i contraccettivi), spiegando che tutte le pratiche che in rete sembrano così semplici, nella realtà hanno altri significati e che se non vengono praticate negli appositi locali o con determinate persone sfociano nell’illegalità (voyeurismo, sadomasochismo, groping)
In conclusione il ruolo genitoriale non si è perso, ma semplicemente modificato in relazione alle esigenze e ai cambiamenti dei figli. Non si tratta più di consegnare all’adolescente la “chiave”, ma di affiancarlo e insegnargli pazientemente come usarla.
Dott.ssa Enrica Passeri
Psicosessuologa