Lo scienziato Albert Einstein, il padre della scienza moderna Galileo Galilei, l’attuale Re di Svezia, l’imperatore Carlo Magno, la cantante Cher, il pugile Muhammad Ali (alias Cassius Clay), l’imperatore Napoleone Bonaparte, il politico Winston Churchill, l’attore Tom Cruise, l’imprenditore Walter Elias Disney, l’imprenditore Henry Ford, l’attrice Whoopi Goldberg, l’attore Anthony Hopkins, il primo presidente degli USA George Washington, l’ex presidente degli USA John F. Kennedy, il fisico Isaac Newton, il regista Quentin Tarantino, il poeta premio nobel W.B. Yeats… Questi sono solo alcuni personaggi intelligenti e brillanti che noi conosciamo per le loro qualità carismatiche, ironiche, creative e innovative. Essi hanno in comune anche un’altra caratteristica: hanno avuto o hanno la DISLESSIA, ovvero il Disturbo Specifico Evolutivo della Lettura.
Analizziamo la definizione. Parlare di disturbo sta a significare che la condizione è innata, in quanto caratteristica neurobiologica dell’individuo, si è dislessici fin dalla nascita anche se ciò non si rende del tutto evidente finché non ha inizio la scolarizzazione attorno ai 6 anni. Tale termine si contrappone alla condizione di “difficoltà” che, invece, può comparire in momenti diversi della crescita di un bambino e può essere dovuta a molteplici cause biologiche, ambientali o emotivo-motivazionali.
Il termine specifico si riferisce al fatto che il disturbo interessa un dominio circoscritto di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale, che risulta nella media. Viene chiamato anche evolutivo, in quanto la manifestazione del disturbo cambia nel tempo e accompagna il generale sviluppo del bambino. La dislessia è caratterizzata, in particolare, da uno specifico mal funzionamento nel processo di automatizzazione (velocità) e nella correttezza della conversione grafema-fonema, alla base della lettura.
La dislessia fa parte di una più ampia categoria diagnostica: I DISTURBI SPECIFICI EVOLUTIVI DELL’APPRENDIMENTO (DSA), che comprende: la DISGRAFIA, il disturbo specifico evolutivo della scrittura come componente motoria che coinvolge la realizzazione manuale dei grafemi; la DISORTOGRAFIA, il disturbo specifico evolutivo della scrittura nella sua componente ortografica; la DISCALCULIA, il disturbo specifico evolutivo del calcolo. Nel caso in cui si rilevino tutte e tre le manifestazioni, allora si presenterà un DISTURBO MISTO degli apprendimenti scolastici. Molto spesso tali disturbi si presentano in associazione (comorbilità) tra loro (ad es. disturbo della lettura e della scrittura) e/o con altre situazioni di difficoltà come il disturbo di attenzione o della coordinazione motoria.
L’8 ottobre 2010 è entrata in vigore la Legge n. 170 “Nuove norme in materia di Disturbi Specifici di Apprendimento in ambito scolastico” che riconosce e definisce ufficialmente i DSA. Tale normativa rappresenta un evento importante nel panorama delle difficoltà di apprendimento, in quanto, fornisce indicazioni chiare riguardo alla diagnosi, alla formazione degli insegnanti e alle misure educative e didattiche di supporto a favore degli studenti con diagnosi di DSA per permettere loro di apprendere ed istruirsi con successo. In tempi ancora più recenti, luglio 2011, sono state pubblicate le “Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbo Specifico dell’Apprendimento”, che forniscono indicazioni operative ancora più dettagliate e puntuali per tutti i cicli scolastici dalla Scuola dell’Infanzia fino all’Università.
Il bambino con un DSA è il primo a soffrire la difficoltà, poiché non riesce a leggere, a scrivere o a contare come i suoi compagni e non sa perché. Si sente dire che è svogliato, che è lento, distratto, parole queste che a lungo andare, purtroppo, comportano spesso disagi psicologici e comportamentali rilevanti, sia di tipo esternalizzato che internalizzato, nonché legati alla motivazione scolastica. Il bambino inizia a chiudersi in se stesso, a manifestare comportamenti non adeguati, a detestare la scuola e tutto ciò che la circonda. E’ importante, quindi, agire il prima possibile, già durante l’ultimo anno della Scuola dell’Infanzia attraverso degli screening di valutazione dei prerequisiti che potrebbero individuare precocemente i bambini a rischio di disturbo.
La diagnosi clinica per i disturbi specifici della lettura e della scrittura è possibile a partire dalla fine del secondo anno di scolarizzazione (questa età coincide con il completamento del ciclo dell’istruzione formale del codice scritto), mentre per il disturbo del calcolo a partire dalla fine del terzo anno di scuola primaria. La fase diagnostica, in realtà, è solo l’inizio di un variegato percorso che andrà a coinvolgere più figure che circuitano nella rete di supporto del bambino: il clinico, la famiglia, gli insegnanti, gli educatori.
Compito del clinico, che si rende disponibile ad una presa in carico a tutto tondo del caso, non è solo quello di fare la valutazione e la diagnosi, ma soprattutto quello di guidare e sostenere la famiglia nel percorso che, nella maggior parte dei casi, dovrà prevedere un tempestivo trattamento della/e abilità risultata/e deficitaria/e. Un intervento di questo tipo può portare, ad esempio nel caso della lettura, a buoni risultati sia in termini di raggiungimento di una velocità di decodifica tale da permettere al bambino lo studio autonomo, sia in termini di riduzione degli effetti secondari del disturbo (demotivazione, chiusura, comportamenti sregolati). Il trattamento abilitativo dovrà essere condiviso in modo chiaro e collaborativo con la famiglia, ma dovrà esserne informata anche la scuola, in quanto esso, per la sua importanza, richiede un investimento di energie e di tempo sia per i genitori che per il bambino.
I genitori, una volta capito che gli errori, i brutti voti e la svogliatezza non dipendono direttamente dal volere del proprio figlio, ma da un funzionamento di apprendimento differente da quello degli altri compagni, possono mettere in atto delle modalità più adeguate nel rapporto con il bambino e con la scuola. Sarebbe auspicabile che mamma e papà non investissero tutte le energie genitoriali nel fare i compiti con i loro figli, ma che si dedicassero a loro e alle loro splendide qualità anche al di fuori dell’ambito scolastico. Le famiglie spesso si rivolgono ad educatori che, conoscendo gli aspetti caratteristici del disturbo possono lavorare attivamente promuovendo l’incremento delle potenzialità del bambino attraverso l’utilizzo di strategie idonee all’apprendimento.
L’insegnante è la persona che la maggior parte di noi si porta nel bagaglio di ricordi relativo agli anni della scuola. Essa è una figura privilegiata che vede il bambino per molte ore al giorno e impara a conoscerlo non solo nelle sue modalità di apprendimento, ma anche nei suoi modi di interazione sociale. Questo ci fa comprendere l’importanza della preparazione e dell’aggiornamento degli insegnanti che seguono il percorso educativo e didattico dei bambini. La Legge 170/10, ma soprattutto le successive Linee Guida danno indicazioni precise su come intervenire con forme efficaci e flessibili di lavoro che si traducono con l’introduzione di misure dispensative e strumenti compensativi che consentono modalità di apprendimento personali e alternative.
L’ingrediente principale? La comunicazione. Tra famiglia, scuola, servizi educativi e clinici è fondamentale la collaborazione e il sostegno, in quanto solo attraverso il lavoro in rete sarà possibile offrire ai bambini il vero valore di un’adeguata istruzione attraverso il raggiungimento di un’autonomia operativa intesa come indipendenza, libertà di pensare e di agire.
Elena Del Torre
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Salve, sono Luigia Paparella, dott.ssa magistrale in Scienze Pedagogiche. Mi rivolgo a Voi, per avere la possibilità di lavorare in un contesto che mi offra dei percorsi di crescita attinenti alle mie ispirazioni. Per i ruoli di: pedagogista, educatrice, formazione, coordinamento e progettazione. Un saluto, Luigia Paparella